Radon in Italia

Un po' di dati

Tra gli anni ‘80 e ’90, è stata realizzata dall’Istituto Superiore della Sanità e dai Centri Regionali di Riferimento della Radioattività Ambientale degli assessorati regionali alla Sanità, oggi confluiti nelle Agenzie per la protezione dell’ambiente regionali e provinciali (ARPA e APPA), un’indagine nazionale sulla concentrazione del radon nelle abitazioni. Il valore dell’esposizione media è risultato: 70 Bq/m3, valore relativamente elevato rispetto alla media mondiale valutata intorno a 40 Bq/m3 e a quella europea di circa 59 Bq/m3. A livello regionale esiste una situazione molto diversificata: a valori inferiori a 40 Bq/m3 (es. Marche) si alternano valori di oltre 100 Bq/m3 di altre (es. Lazio e Lombardia). Tali valori sono puramente indicativi in quanto il nostro territorio è vario e legato a innumerevoli variabili locali e geologiche, che influenzano la valutazione del rischio radon. Quindi anche in aree dove generalmente si riscontrano basse concentrazioni, esiste la possibilità che in alcuni edifici vi sia una presenza elevata di radon.

Valori delle concentrazioni medie regionali di Radon in Italia ottenute dai monitoraggi svolti negli anni ’80 e ’90.

In Lombardia i valori più alti della concentrazione di radon si registrano a nord della regione, nella fascia di transizione tra la Pianura Padana e la parte di montagna caratterizzata da depositi alluvionale molto permeabili, che proprio per questa loro caratteristica permettono maggiori fuoriuscite di radon dal suolo.

In particolare, monitoraggi promossi dalla regione Lombardia nel 2002 e nel 2009 hanno mostrato che le province di Lecco, Sondrio, Varese, Como, Lecco, Bergamo e Brescia sono quelle più colpite e che la concentrazione di radon nelle abitazioni a rischio può assumere valori elevati.

La figura mostra la concentrazione di radon rilevata in un locale con il pavimento a diretto contatto con il suolo di una abitazione di Ello in provincia di Lecco. Il rilevatore, del tipo “attivo”, ha eseguito e registrato la concentrazione del gas ogni ora per quattro giorni consecutivi. Il grafico presenta il tipico andamento giorno/notte caratterizzato da valori massimi raggiunti nelle prime ore del mattino e valori minimi nel primo pomeriggio. Siccome le misure, stanno quasi sempre al di sopra della linea orizzontale indicante la cosiddetta “soglia di attenzione”, la località in cui si trova l’abitazione è a rischio radon.

La normativa

L’attuale normativa italiana prevede una regolamentazione dell’esposizione al radon soltanto nei luoghi di lavoro. Con il D.lgs.241 del 26 maggio 2000 si stabilisce che, se la concentrazione media annua di radon supera il livello di azione di 500 Bq/m3, il datore di lavoro deve mettere in atto azioni di rimedio per ridurre la concentrazione di radon, e, dopo l’intervento, procedere a verificarne l’efficacia con una nuova misura. Questa normativa si applica ad ogni tipologia di attività lavorativa, perché il radon non è legato al tipo di lavoro, ma all’ubicazione dell’ambiente in cui si opera. Quindi sono comprese anche le attività svolte negli edifici pubblici, tra cui le scuole! Per le abitazioni private non è, invece, presente uno strumento normativo per la protezione dall’esposizione al radon, ma viene soltanto fatto riferimento ai valori raccomandati da una vecchia Direttiva dalla Comunità europea (1990/143/EURATOM): 400 Bq/m³ per gli edifici esistenti e, come parametro di progetto, un livello di 200 Bq/m³ per gli edifici residenziali da costruire, superati i quali è raccomandata l’adozione di provvedimenti correttivi. Tuttavia è da sottolineare che i principali organismi internazionali hanno recentemente indicato nuovi livelli di riferimento, in generale più bassi dei precedenti, per limitare l’esposizione al radon sia nelle abitazioni che nei luoghi di lavoro a causa della rivalutazione dei rischi attribuibili all’esposizione al radon, derivati dai recenti studi epidemiologici. In particolare la Comunità Europea con una recente direttiva (2013/59/EURATOM) definisce un nuovo limite per la concentrazione di radon senza far più distinzione tra luoghi di lavoro e abitazioni private e in quest’ultime non viene più fatta differenziazione tra nuovi e vecchi edifici. Tale nuova soglia, oltre la quale è necessario prevedere tecniche di riduzione della concentrazione di radon nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro, è di 300 Bq/m3. In tale direttiva viene, inoltre, fatta la seguente importante precisazione: “…recenti risultati epidemiologici dimostrano un aumento statisticamente significativo del rischio di carcinoma polmonare correlato all'esposizione prolungata al radon in ambienti chiusi a livelli dell'ordine di 100 Bq/m3”. Ci si augura che l’Italia recepisca, convertendole al più presto in legge, le nuove indicazioni della Comunità Europea. Nel frattempo, ci si deve far affidamento soltanto alle iniziative delle amministrazioni locali, alcune delle quali, dimostrano la giusta sensibilità al problema radon, mentre la stragrande maggioranza di esse ha finora ignorato il problema Infatti, la Direzione Regionale della Sanità Lombarda, in una nota del 27/12/2011, sollecita: - i comuni ad inserire nei Regolamenti Edilizi norme anti-Radon definite da precise Linee Guida - le USL a verificare che i comuni adottino le Linee Guida e a svolgere azioni di comunicazione e sensibilizzazione verso le associazioni di categoria e la popolazione (!) A tutt’oggi, pochissimi sono i comuni e le USL locali che hanno recepito queste precise indicazioni. Proprio per fare in modo che ai “solleciti” seguano azioni concrete, è da segnalare l’iniziativa della USL provinciale di Lecco che nel dicembre 2013 ha inviato una direttiva ai comuni obbligandoli ad adottare barriere antiradon per le nuove abitazioni e per le ristrutturazioni. Anche per quanto riguarda il radon nell’acqua, nella legislazione italiana non esiste un valore limite, ma si fa riferimento soltanto alle indicazioni della Comunità Europea. Sia per le acque da rubinetto sia per quelle imbottigliate, il valore al di sopra del quale bisogna intraprendere azioni correttive è di 1000 Bq/litro, mentre 100 Bq/l (32 Bq/litro per le acque destinate ai bambini e ai lattanti) viene considerato il livello al di sopra del quale valutare l’opportunità di misure volte alla tutela della salute umana.